1_4_SCRIPT-ed_611 La competenza per materia delle sezioni IP (L C Ubertazzi) (2004) 1:4 SCRIPT-ed 611 (2004)


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Cite as: La competenza per materia delle sezioni IP (L C Ubertazzi)

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La competenza per materia delle sezioni IP*

Luigi Carlo Ubertazzi+

 

Table of Contents:

Cite as: LC Ubertazzi, "La competenza per materia delle sezioni IP", (2004) 1:4 SCRIPT-ed 611, @: <http://www.law.ed.ac.uk/ahrc/script-ed/issue4/ubertazzi.asp>
 

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DOI: 10.2966/scrip.010304.611
© Luigi Carlo Ubertazzi 2004.

Abstract

Italian Law 12/12/2002, n. 273 [0] as implemented through the Legislative Decree 168/2003 [1] has created "specialized sections" for IP-related matters in the courts (both first and second level) of Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste and Venezia. These sections "deal with cases of national and communitarian trademarks, patents for inventions and new plant varieties, utility models, pictures and models, author rights and all cases of unfair competition when these cases interfere with the protection of industrial and intellectual property".
This paper discusses the different positions of Italian law scholars and lawyers as to whether the list of subjects, on which the specialized sections are competent as written in the law, is intensive or extensive - in other words, whether the specialized sections should take care *only* of the matters that the law clearly specifies, or whether they should take care of everything "related to" intellectual and industrial property. In this paper several justifications are made for giving full responsibility to IP sections over all law cases dealing with intellectual property (extensive interpretation), together with a rebuttal of the most relevant positions advocating an intensive interpretation of the law. (Abstract by Andrea Glorioso, Media Innovation Unit, Firenze Tecnologia).
 

1. Il trend verso la specializzazione

1. Il mondo dei saperi e dei mestieri si è da tempo avviato verso una specializzazione progressivamente crescente, che ha interessato anche il mondo dei mestieri relativi alla proprietà intellettuale, e che aspira ad una specializzazione altrettale anche dell’organizzazione della giustizia e del processo. Quando poi la materia è circoscritta come quella della proprietà intellettuale l’esigenza di specializzazione si accompagna ad un bisogno di concentrazione dei luoghi di esercizio stragiudiziale delle professioni in campo e ad un tempo nel riparto della giurisdizione e della competenza. Il diritto processuale generale e quello specifico della proprietà intellettuale tutelano da tempo entrambi gli interessi alla specializzazione ed alla concentrazione in materia di proprietà intellettuale (su tutto ciò v. amplius Ubertazzi, Le sezioni specializzate in materia di proprietà intellettuale, in Riv.dir.ind. 2003, I, 222-231). La tutela di questi interessi ha tuttavia avuto recentemente un salto di qualità con la legge 273/2002 ed il dlgs 168/2003 che hanno istituito le sezioni specializzate in materia di proprietà intellettuale, prevedendo ad un tempo una specializzazione in questa materia ed una concentrazione delle relative competenze in capo ad un numero di giudici relativamente ristretto. La tutela dei medesimi interessi potrebbe poi avere prossimamente un ulteriore salto di qualità con l’approvazione del codice della proprietà industriale (di seguito: il codice o cpi) attualmente in gestazione. Il trend ora detto e la disciplina delle sezioni specializzate mi sembrano meritare una valutazione fortemente positiva. Come sempre avviene per tutte le norme anche quelle relative alle sezioni specializzate debbono naturalmente essere interpretate, pongono talvolta alcuni problemi di ricostruzione e lasciano per qualche verso inappagati. Questo avviene in particolare per quanto riguarda la delimitazione della competenza per materia delle sezioni specializzate, a cui è dedicato questo intervento. Ma la deformazione professionale tipica del giurista specialmente pratico, che tende a scorgere ed a sottolineare subito i possibili errori, non deve far dimenticare che la valutazione complessiva dell’istituzione delle sezioni specializzate resta fortemente positiva.

2. Per una denominazione delle sezioni specializzate come sezioni IP

2. Le sezioni specializzate sono denominate dalla legge 273/2002 e dal dlgs 168/2003 come “sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale”. Per parte mia ho già notato che la formula “proprietà industriale ed intellettuale” è inutilmente barocca (in Ubertazzi, Le sezioni specializzate, cit., 249ss.). Una valutazione analoga è stata espressa anche dal decreto del presidente di Trib. Torino 19.8.2003, estensore Barbuto, che istituisce la “sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale” del Tribunale di Torino e che l’ha giustamente chiamata “per brevità ‘sezione P.I.’”. Questa denominazione sintetica mi pare sotto ogni profilo opportuna. E per questa ragione nel seguito di questo scritto le sezioni specializzate saranno chiamate sinteticamente come sezioni PI o come sezioni IP.

3. Le norme attuali sulla competenza per materia delle sezioni IP

3. La legge 273/2002, recante “misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza”, ha introdotto in particolare un capo I intitolato “interventi per favorire l’iniziativa economica privata”, un capo II recante “disposizioni in materia di proprietà industriale”, ed all’interno del capo II un art. 16 intitolato “delega al Governo per l’istituzione di sezioni dei tribunali specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale” e secondo cui “Il Governo è delegato ad adottare […] uno o più decreti legislativi diretti ad assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti giudiziari in materia di marchi nazionali e comunitari, brevetti d’invenzione e per nuove varietà vegetali, modelli di utilità, disegni e modelli e diritto d’autore nonché di fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale e intellettuale”. A sua volta l’art. 3 del dlgs 168/2003 ha stabilito che le sezioni IP “sono competenti in materia di controversie aventi ad oggetto: marchi nazionali, internazionali e comunitari, brevetti di invenzione e per nuove varietà vegetali, modelli di utilità, disegni e modelli e diritto d’autore nonché di fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale e intellettuale” (le parti in corsivo indicano le differenze dell’art. 3 del dlgs 168/2003 rispetto alla legge delega).

Entrambe le regole ora dette della legge delega e della legge delegata sembrano a prima vista definire la competenza per materia delle sezioni IP in modo che non la estende espressamente all’intera proprietà intellettuale, la prevede per alcuni istituti indicati in modo puntuale e la esclude per la quota della concorrenza sleale che non sia “interferente con la tutela della proprietà industriale e intellettuale”. Una prima linea interpretativa largamente diffusa ha perciò ritenuto che il diritto italiano frazioni tra sezioni IP ed altri giudici ordinari la competenza in materia di proprietà intellettuale. Così riletta la disciplina delle sezioni IP comporta numerosi inconvenienti gravi: a tacer d’altro perché in alcuni casi frazionerà un medesimo contenzioso concreto in una pluralità di procedimenti, contrastando con il principio e le esigenze di economia dei giudizi, e non consentendo una valutazione sostanziale unitaria della fattispecie; rischia di sollevare nel giudizio una serie di eccezioni e di discussioni di rito che distraggono dal merito della causa, che ne dovrebbe invece costituire il cuore; e dichiara di voler proteggere esigenze di “specializzazione” e di “rapida ed efficace definizione dei procedimenti”, ma le protegge poi soltanto per alcune materie della medesima proprietà intellettuale. La linea interpretativa ora ricordata prende atto di una prima possibile irrazionalità della definizione della competenza per materia delle sezioni IP. Alcune regole in gestazione possono poi introdurre alcune ulteriori irrazionalità nella definizione della competenza e del funzionamento delle sezioni IP: e qui si ricorderà in particolare che il progetto di codice della proprietà industriale non regola i diritti d’autore e connessi ed una parte importante della concorrenza sleale, e d’altro canto prevede che le sezioni IP applicheranno il rito societario alle materie disciplinate dal codice ma non anche a quelle ulteriori della proprietà intellettuale che rivengono alle sezioni IP.

Alcuni membri della commissione ministeriale incaricata della preparazione della bozza del codice hanno indicato le ragioni di questo assetto del codice e della disciplina istitutiva delle sezioni IP: segnalando in particolare che il primo non si estende al diritto d’autore perché il codice è preparato dal Ministero delle attività produttive mentre il diritto d’autore rientra nella competenza di quello per i beni culturali; e che il frazionamento della concorrenza sleale tra sezioni IP ed altri giudici ordinari è stato imposto dalla “difesa accanita” degli “ordini professionali” forensi periferici, che non volevano perdere quote di lavoro a favore di professionisti delle sedi delle sezioni IP. Per parte mia ho già scritto che questa spiegazione dell’esclusione del diritto d’autore dal codice non può convincere in diritto (e v. Ubertazzi, 10ss.): e d’altro canto gli studiosi e gli operatori pratici del diritto intervenuti nei dibattiti relativi ai lavori preparatori del codice hanno manifestato (quasi) tutti un vivo disagio di fronte allo scarso respiro delle motivazioni politiche ora ricordate, ed alla circostanza che esse conducono sino a metà strada un progetto di riorganizzazione della giustizia in materia di proprietà intellettuale che poteva invece essere condotto razionalmente più avanti. In questa situazione a me pare che un giurista illuminista non possa arrendersi alle dichiarazioni relative alle motivazioni politiche contingenti di una norma; debba invece verificare fino in fondo con tutti gli strumenti interpretativi a disposizione se queste motivazioni possano essere superate da una interpretazione razionale della disciplina positiva; e possa ragionevolmente concludere che le sezioni IP hanno competenza non soltanto per una quota ma per tutta la proprietà intellettuale.

4. La loro interpretazione come regole relative a tutta la proprietà intellettuale: argomenti a favore

4. Per parte mia ho già scritto che questa conclusione mi sembra consentita da 7 argomenti. Rinvio al mio scritto precedente Le sezioni specializzate, cit., per un’illustrazione di questi argomenti. E qui mi limito a ricordare in sintesi che

5. Argomenti contrari e loro critica

5. La lettura da me proposta ha registrato alcune osservazioni critiche e vede inoltre in campo alcune ulteriori interpretazioni diverse. Le osservazioni critiche sono state svolte specialmente da due relazioni interessanti tenute da Paolo Auteri e da Cesare Galli ad un convegno su La giustizia italiana nella materia della proprietà intellettuale. Quale futuro?, organizzato a Milano il 28.11.2003 dall’American chamber of commerce in Italia (di cui utilizzo qui gli sbobinati, mentre i testi definitivi saranno forse pubblicati sul sito dell’American chamber). Le osservazioni critiche di Auteri e di Galli mettono in campo 6 argomenti che ora vedremo. I primi 4 sono di Auteri. Gli altri sono di Galli. Tutti sono certamente suggestivi e di rilievo. A me pare tuttavia che essi non siano sufficienti a contrastare l’interpretazione da me proposta.

Il I argomento sostiene infatti che la “estensione della competenza delle sezioni IP a tutta la proprietà intellettuale non può essere fondata” sulla circostanza che “l’espressione proprietà industriale e intellettuale ricorre 14 volte nel testo della legge”: perché questa espressione “ha una funzione di indicare in modo sintetico tutte le materie che vengano poi indicate specificamente nella disposizione” dell’art. 3 dlgs 168/2003. Questo argomento procede tuttavia dalla premessa non dichiarata che il dlgs 168/2003 contenga due enunciati, uno costituito dall’elencazione puntuale di istituti della proprietà intellettuale e l’altro integrato dal riferimento esplicito a quest’ultima; e dall’ulteriore premessa che il primo abbia un valore normativo diverso e maggiore del secondo. La seconda premessa non può in realtà convincere: perché il criterio dell’interpretazione sistematica [secondo cui ex art. 1363 c.c. “le clausole (…) si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuno il senso che risulta dal complesso dell’atto”] ed il principio della conservazione dell’atto [secondo cui ex art. 1367 c.c. “nel dubbio (…) le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”] sconsigliano di assumere a priori che una delle clausole in campo abbia un rilievo necessariamente inferiore alla o alle altre, e così di ritenere che l’elencazione puntuale di istituti della proprietà intellettuale prevista dall’art. 3 del dlgs 168/2003 debba prevalere sui 14 riferimenti “legislativi” ad una nozione generale di proprietà intellettuale. L’argomento qui criticato procede dunque da una premessa criticabile. Anche le sue conclusioni non possono allora essere condivise. E sotto questo profilo le regole relative alla competenza per materia delle sezioni IP si affiancano a non pochi esempi di norme industrialistiche a struttura analoga che sono state interpretate secondo la linea da me proposta: perché ad esempio la regola dell’art. 1 l.a. secondo cui il diritto d’autor protegge “le opere dell’ingegno di carattere creativo” non è considerata come puramente riassuntiva degli elenchi di opere protette previsti dagli artt. 1 e 2 l.a.; e così ancora la categoria delle intese vietate ex artt. 81 TCE e 2 l.at. non è definita dall’elenco di fattispecie vietate espressamente previste da queste norme (che è considerato ancora una volta come esemplificativo).

Il II argomento sostiene che la mia lettura ampia della competenza delle sezioni IP “non può essere fondata sui lavori preparatori perché […] i lavori preparatori possono essere utilizzati in misura limitata nell’interpretazione della legge, in questo caso non sono univoci”. Ora Auteri ha certo ragione a dire che i lavori preparatori hanno un rilievo circoscritto, e proprio per questo ho ricavato da essi soltanto uno dei 7 argomenti che ho messo in campo per riconoscere alle sezioni IP una competenza estesa all’intera proprietà intellettuale.

Il III argomento sostiene che “non si possono utilizzare argomenti sistematici perché il termine proprietà intellettuale è un termine convenzionale che ha un valore descrittivo, non ha un valore normativo, e quindi non si può interpretare la legge in ossequio a concezioni e opinioni dottrinali convenzionali”. Ora Auteri ha certo ragione a ricordare che la categoria della proprietà intellettuale è stata ricostruita e concettualizzata anche dalla dottrina. Le locuzioni proprietà industriale o intellettuale possono tuttavia essere utilizzate anche e direttamente da norme: come avviene ad esempio con l’art. 30 TCE, con i TRIPs, con il codice e con la disciplina delle sezioni IP. E quando ciò avviene il riferimento della norma alla proprietà intellettuale “ha un valore normativo”, deve essere interpretato, non può essere obliterato e può essere anzi valorizzato (tra l’altro) nel senso da me suggerito.

Il IV argomento sostiene che “l’esigenza della certezza” del diritto “giustificherebbe un’interpretazione restrittiva” della regola di competenza relativa alla concorrenza sleale. Per parte mia non sono certo che l’esigenza della certezza del diritto costituisca un criterio di interpretazione di rilievo della regola legislativa. Noto tuttavia che l’esigenza di certezza potrebbe in realtà consigliare nel dubbio l’interpretazione da me proposta: perché le norme in campo non sono un modello di chiarezza; perché la lettura da me proposta riduce al minimo le incertezze del diritto, offrendo un’interpretazione razionalizzatrice che affida per intero alle sezioni IP la competenza in materia di proprietà intellettuale; e perché al contrario ogni lettura diversa comporta un’area maggiore di incertezza del diritto, in quanto sopravvaluta il significato di un’espressione non chiara, non univoca, intrinsecamente contraddittoria e difficilmente razionalizzabile qual è la locuzione “concorrenza sleale interferente con la proprietà intellettuale”.

Il V argomento osserva che “noi non possiamo cancellare quell’ ‘interferente’ e dire concorrenza sleale tout court, questo significherebbe dare un’interpretazione abrogante della norma e un’interpretazione abrogante noi non ce la possiamo permettere”. Questo argomento dimentica tuttavia il vecchio brocardo e la massima di comune esperienza secondo cui alle volte il legislatore dixit plus quam voluit.

Il VI argomento osserva che “un’interpretazione abrogante se la potrà permettere semmai la Corte costituzionale se riscontrerà una violazione del principio di uguaglianza, ma un’interpretazione adeguatrice ai valori costituzionali dell’uguaglianza tale addirittura da cancellare un pezzo della norma non ce la possiamo permettere”. A mia volta mi rendo conto che la mia lettura propone sostanzialmente di ridurre a zero il significato di una locuzione non univoca qual è quella della “concorrenza sleale interferente con la proprietà intellettuale”. Mi pare tuttavia che questa riduzione a zero non vuole “abrogare una clausola per adeguarla ai valori costituzionali dell’uguaglianza”: ma ritiene che questa “riduzione” sia in realtà consentita dall’applicazione dei criteri consueti di interpretazione di qualsiasi legge, senza necessità di un’abrogazione legislativa o di una dichiarazione di illegittimità costituzionale.

6. In particolare l’applicazione analogica delle regole sulla competenza per materia delle sezioni IP

6. La lettura della dottrina e della giurisprudenza relative alla competenza per materia delle sezioni IP testimonia subito che entrambe hanno un’evidente tendenza a limitarsi ad un’interpretazione letterale ed a spingersi solo raramente sino ad una lettura estensiva delle regole in campo. A me pare invece che queste possano essere interpretate anche in via analogica. E qui mi fermo in particolare su quest’interpretazione.

A. Per parte mia ho già scritto in una prima glossa al dlgs 168/2003 che le regole relative alla competenza per materia delle sezioni IP mi sembrano regole speciali. Al convegno di Palermo di questo giugno 2004 Monteleone ha invece segnalato che le regole qui considerate non sono regole speciali ma regole ordinarie che insieme ad altre concorrono a determinare la competenza territoriale degli organi giudiziari. Per parte mia non vorrei approfondire questo sottile problema processualistico. Mi pare chiaro comunque che in entrambi i casi le regole sulla competenza per materia delle sezioni IP non sono regole eccezionali e come tali possono dunque essere interpretate anche in via analogica.

B. La loro applicazione analogica richiede anzitutto la ricostruzione della ratio delle norme relative alla competenza per materia delle sezioni IP.

A me pare che la ratio di queste regole sia data a) dall’esistenza di una serie di interessi privati e pubblici alla specializzazione dei giudici chiamati a decidere sulle materie indicate dalle regole di competenza qui considerate e ad un tempo b) da una valutazione legislativa secondo cui questi interessi meritano di essere protetti. Gli interessi ora detti sono in particolare gli interessi generali alla specializzazione dei saperi e dei mestieri e quelli ulteriori particolari alla specializzazione nelle materie specifiche tipiche della proprietà intellettuale: e così gli interessi che ho ricordato nel mio studio su Le sezioni specializzate in materia di proprietà intellettuale quando ho delineato il quadro storico e sociologico in cui è intervenuto il dlgs 168/2003. Questa ricostruzione mi pare subito self evident. Essa è d’altro canto confermata a) dall’istituzione ad opera di questo dlgs di sezioni che sono appunto “specializzate”; b) dalla regola dell’art. 2 del medesimo dlgs 168/2003, secondo cui “le sezioni specializzate […] sono composte di […] giudici […] scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze”; c) dalla progressiva specializzazione dei “mestieri” in campo (anche) in materia di proprietà intellettuale; e d) da tutta la storia dell’evoluzione del diritto processuale civile generale e del diritto processuale industrialistico verso una specializzazione dei giudici progressivamente crescente. E qui tutti i primi commenti sulle sezioni IP hanno naturalmente sottolineato a ragione che “l’impulso alla creazione delle sezioni specializzate è venuto dalla necessità di adeguarsi ai regolamenti comunitari in materia di marchi e di disegni e poi al futuro regolamento in materia di brevetto comunitario, che prevede l’istituzione di tribunali in qualche senso comunitari in queste materie” (così Auteri nella relazione all’American chamber). In sintesi la ratio delle regole relative alla competenza per materie delle sezioni IP sta nell’esistenza di interessi alla specializzazione dei giudici addetti a queste materie e ad un tempo nel riconoscimento legislativo della meritevolezza di questi interessi. E la specializzazione ha poi a sua volta vari corollari. Un primo corollario comporta la tendenziale concentrazione della competenza in capo alle sezioni IP (anche se a Palermo Giussani ha concluso che le regole relative alla connessione possono spostare la competenza dalla sezione IP ad altro giudice). Un secondo corollario è la “garanzia di un maggior grado di prevedibilità dei risultati dell’intervento del giudice” (così Floridia, Il commento alla legge 273/2002, in IDI 2003, 30). Un terzo corollario è l’incentivazione della cultura della specializzazione anche a livello giudiziale e nell’ambito della categoria dei magistrati italiani (così Floridia, op. loc. cit.; Id., 204ss.).

Ci si può chiedere e ci si è chiesti se la ratio delle regole relative alla competenza per materie delle sezioni IP sia data, oltre che dagli interessi alla specializzazione, anche da quelli alla rapidità del giudizio nelle medesime materie. a) Ora le regole costituzionali tutelano naturalmente gli interessi alla “durata ragionevole” del processo: come avviene ad esempio con gli artt. 111 co.2 cost., 6 Cedu e 6 TUE. b) Gli interessi alla rapidità del giudizio possono inoltre variare di intensità secondo la materia in campo: perché ad esempio gli interessi privati ad un processo celere sono particolarmente forti in materia di proprietà intellettuale e di concorrenza, per le medesime ragioni per cui un’opinione largamente diffusa ritiene che nelle materie ora dette il periculum in mora è in re ipsa; mentre gli interessi privati alla rapidità del giudizio sono meno forti quando si controverta di diritti reali relativi a porzioni di montagne sottoposte a vincoli paesaggistici e non edificabili in alcun modo. c) Per corollario la “durata ragionevole” del processo varia secondo le diverse materie, e deve ragionevolmente essere più particolarmente breve in materia di proprietà intellettuale e di concorrenza. d) La rapidità del giudizio può in particolare essere garantita dal legislatore anche senza istituire sezioni specializzate: e sin qui ha voluto essere assicurata in particolare da norme relative al rito, e così ad esempio al rito stringato del processo del lavoro o a quello ancor più rapido dei giudizi di sfratto. e) La costituzione di sezioni IP può avere indirettamente l’effetto di rapidizzare il processo: e così ad esempio la presenza di giudici specializzati consentirà agli avvocati di concentrare scritti e discussioni su determinati argomenti, e di non illustrare ampiamente cose risapute dai cultori della materia; e consentirà ai giudicanti di non dover studiare ex novo materie specializzate e così di valutare e di decidere più rapidamente la controversia. f) Qui Cesare Galli ha ritenuto in particolare che la ratio delle norme sulla competenza per materia delle sezioni IP sia data da due “elementi, quello della specializzazione oltre a quello della rapidità” (così la sua relazione al convegno dell’American chamber). g) A me pare che la rapidità del giudizio delle sezioni IP voglia essere assicurata anzitutto da norme diverse da quella relativa alla definizione della competenza per materia: e così in primis dalla norma relativa al numero minimo dei giudici che devono comporre una sezione IP (art. 2 legge delegata); dalla regola dell’art. 16.3 della legge delega secondo cui occorreva che “nell’emanare le necessarie disposizioni transitorie, il governo avrà cura di evitare che le sezioni specializzate […] siano gravate da un carico iniziale di procedimenti che ne impedisca l’efficiente avvio”; dalle regole dell’art. 16.1 della legge delega e 5 di quella delegata che affidano al presidente della sezione IP le funzioni altrimenti proprie del presidente del tribunale e rispettivamente della corte di appello. h) Non sono invece del tutto certo che le regole sulla competenza per materia non vogliano tutelare solo indirettamente (e non invece direttamente) gli interessi alla rapidità del giudizio. i) Quale che sia comunque la conclusione su questo punto essa non incide sul seguito del mio discorso relativo alla ratio delle regole sulla competenza per materie delle sezioni IP: perché i medesimi interessi privati e pubblici alla rapidità del giudizio esistono tanto nelle materie espressamente affidate alle sezioni IP quanto in quelle ulteriori che appartengono alla proprietà intellettuale.

C. A questo punto occorre mettere a fuoco il modus procedendi relativo all’applicazione analogica delle regole relative alla competenza per materia delle sezioni IP.

Il dlgs 168/2003 menziona esplicitamente 1) “marchi nazionali, internazionali e comunitari”; 2) “brevetti di invenzione e per nuove varietà vegetali”; 3) “modelli di utilità; 4) “disegni e modelli”; 5) “diritto d’autore”; 6) “fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale e intellettuale”; 7) “proprietà industriale e intellettuale”. L’interpretazione analogica può naturalmente considerare separatamente le diverse norme ora dette: e così ad esempio può considerare isolatamente la regola 1) relativa a “marchi nazionali, internazionali e comunitari” per suggerire che essa può essere applicata quantomeno analogicamente ai marchi non registrati; a ditta, denominazione e ragione sociale, insegna ed emblema; a domain name; ad ogni altro segno distintivo atipico. L’interpretazione analogica può tuttavia spingersi ben oltre; può ricercare in particolare la ratio comune ai diversi istituti ricordati dalle prime 6 ed anche dalla settima regola ora ricordate; e può proporre dunque un’applicazione analogica (non della singola norma ma) del complesso delle regole in campo. E questa seconda linea dell’interpretazione analogica mi pare non solo possibile ma anche più promettente ai fini di una ricostruzione razionale della competenza riservata alle sezioni IP.

A me pare in particolare che la competenza per materia delle sezioni IP possa essere estesa analogicamente a tutte le materie che non sono indicate espressamente dall’art. 3 dlgs 168/2003, ma che sono ricomprese nella nozione ampia di proprietà intellettuale ai sensi dei trattati WIPO e WTO/TRIPs, e che non possano essere affidate alle sezioni IP già sulla base di un’interpretazione sistematica o estensiva delle regole relative a queste sezioni. In relazione alle materie ora dette sussiste infatti la eadem ratio che giustifica la competenza delle sezioni IP nelle materie espressamente indicate dall’art. 3. a) In primo luogo sono in campo i medesimi interessi oggettivi alla specializzazione (ed alla rapidità) che hanno portato all’istituzione delle sezioni IP. b) In secondo luogo gli interessi oggettivi ora detti sono propri della medesima categoria di soggetti tradizionalmente dedicati ai diversi mestieri relativi alla proprietà intellettuale: che storicamente tendono ad occuparsi professionalmente di tutti i suoi aspetti (nonostante i singoli operatori possano avere attenzione più marcata per l’uno o l’altro segmento della proprietà intellettuale). c) In terzo luogo gli interessi oggettivi e soggettivi ora detti sono tutti ugualmente meritevoli; è oggettivamente difficile immaginare ragioni per cui alcuni di essi siano “più meritevoli” di altri; mentre i legislatori internazionale, europeo ed italiano hanno già avuto numerose occasioni per riconoscere uguale livello di meritevolezza a tutti gli interessi in campo ora detti.

D. Se questo è vero ne discendono alcuni corollari. E qui interessa in particolare ricordare che già oggigiorno la competenza delle sezioni IP può essere estesa quantomeno in via analogica alle controversie relative ai domain name ed alle invenzioni dei dipendenti che tra breve vedremo attribuite espressamente alle sezioni IP dai lavori preparatori del codice.

7. L’interpretazione diversa della giurisprudenza

7. La dottrina e la giurisprudenza che non hanno condiviso la mia proposta di lettura delle regole relative alla competenza per materia delle sezioni IP hanno proposto una serie molto numerosa di ricostruzioni diverse. Per parte mia mi esimo qui dal ricordarle tutte analiticamente e mi fermo piuttosto sulle linee seguite dalla giurisprudenza.

Sotto questo profilo ho potuto per il momento esaminare 12 decisioni:

1) Trib. Roma, GD Rosselli, 29.7.2003, SSL c. Vife s.r.l., Pavi Group s.r.l., Calzaturificio Pavi s.a.s. e F. Toscano

2) Trib. Torino, sez. PI, GD Barbuto, 10.10.2003, RTI-Reti Televisive Italiane s.p.a. c. Moonlight Video s.r.l., in Giur.it. 2004, 319 .

3) Trib. Cagliari, ordinanza 13.10.2003, T-Scrivo Sardegna s.r.l. c. Maurizio Boi, in GURI 3.3.2004, serie speciale, n. 9

4) Trib. Venezia, sez. PI, 18.12.2003, Alfa 1 c. Imar

5) Trib. Bologna, sez. PI, GD Pilati, 4.2.2004, Max Mara Fashion Group s.r.l., Manifatture del Nord s.r.l., Marella spa c. Gruppo Coin s.p.a.

6) Trib. Venezia, sez. PI, 19.2.2004, Tubes Radiatori s.r.l. c. Italiana Radiatori s.p.a.

7) Trib. Napoli, sez. PI, GD Casaburi, 26.3.2004, Maurino c. Rizzo, in Foro it. 2004, I, 1548

8) Trib. Torino, sez. PI, 30.3.2004, Bobst s.a. c. Officine Meccaniche Giovanni Cerutti s.p.a.

9) Trib. Milano, sez. PI, GD De Sapia, ordinanza 14.4.2004, Cantori s.p.a. c. Semeraro Casa e Famiglia s.p.a.

10) Trib. Napoli, sez. PI, GD Casaburi, ordinanza 20.4.2004, Meridional Costruzioni s.r.l. c. Agromeccanica di Petrosino Andrea e C. s.a.s.

11) Trib. Mantova, GU Bernardi, ordinanza 27.4.2004, Omega Vittorio e Figli s.r.l. e Omega Vittorio c. Omega s.r.l.

12) Trib. Napoli, sez. PI, GD Casaburi, ordinanza 19.5.2004, Farmacie Petrone s.r.l. c. Pfizer Italia s.r.l..

Le decisioni ora dette hanno ritenuto in sintesi che

1. l’azione per contraffazione di brevetto rientra nella competenza delle sezioni IP (così Trib. Torino, sez. PI, 30.3.2004, cit.; Trib. Napoli, sez. PI, GD Casaburi, ordinanza 20.4.2004, cit.)

2. l’azione per contraffazione di marchio registrato rientra nella competenza delle sezioni IP (così Trib. Mantova, GU Bernardi, ordinanza 27.4.2004, cit.)

3. l’azione che l’attore ha prospettato come azione per contraffazione di modello comunitario non registrato senza tuttavia provare i presupposti per la protezione comunitaria non è di competenza delle sezioni IP (così Trib. Bologna, sez. PI, GD Pilati, ordinanza 4.2.2004, cit.)

4. l’azione per concorrenza sleale confusoria per uso di marchio registrato dall’attore come denominazione sociale del convenuto rientra nella competenza delle sezioni IP (così Trib. Mantova, GU Bernardi, ordinanza 27.4.2004, cit.)

5. l’azione per concorrenza sleale confusoria per uso di denominazione sociale dell’attore da parte del convenuto rientra nella competenza delle sezioni IP (così Trib. Mantova, GU Bernardi, ordinanza 27.4.2004, cit.)

6. l’azione per concorrenza sleale confusoria per uso di marchio di fatto dell’attore come domain name del convenuto rientra nella competenza delle sezioni IP (così Trib. Napoli, sez. PI, GD Casaburi, ordinanza 26.3.2004, cit.)

7. l’azione per concorrenza sleale per imitazione servile non rientra nella competenza delle sezioni IP (così Trib. Venezia, sez. PI, ordinanza 18.12.2003, cit.; Trib. Milano, sez. PI, GD De Sapia, ordinanza 14.4.2004, cit.)

8. l’azione per concorrenza sleale per boicottaggio rientra nella competenza delle sezioni IP (così Trib. Napoli, sez. PI, GD Casaburi, ordinanza 19.5.2004, cit.)

9. e forse anche l’azione per concorrenza sleale per cybersquatting rientra nella competenza delle sezioni IP (così forse Trib. Napoli, sez. PI, GD Casaburi, ordinanza 26.3.2004, cit.).

A me pare che il decisum ricordato ai numeri 1, 2, 4, 5, 6 sia condivisibile e se ben vedo condiviso anche da tutta la dottrina. Al contrario il decisum ricordato al numero 7, e che esclude la competenza delle sezioni IP in materia di imitazione servile, mi pare francamente non accettabile e se ben vedo non condiviso dalla dottrina. Il decisum ricordato ai numeri 8 e 9 sarà condiviso o non accettato a secondo che si condivida o meno la linea interpretativa che riconduce alle sezioni IP tutta la proprietà intellettuale. Il decisum ricordato al punto 3 mi sembra invece possa essere apprezzato soltanto sulla base di alcune riflessioni relative al sistema processuale generale ed ai rapporti tra prospettazione e fondatezza della domanda (da una parte) e competenza (dall’altra): ma forse potrebbe essere comunque letto come espressivo di un orientamento pregiudizialmente sfavorevole alla competenza e più in generale all’istituzione delle sezioni IP. Certo è comunque che i primi dicta relativi all’incompetenza delle sezioni IP testimoniano subito un’indisponibilità dei relativi giudici a mettere in campo tutti i criteri di interpretazione applicabili alle regole speciali di competenza; segnalano immediatamente un’impostazione professionale molto lontana dalla disponibilità a lungo dichiarata dalle punte avanzate della magistratura a svolgere ruoli di supplenza del legislatore per un’interpretazione evolutiva del diritto; ed offrono forse ulteriori spunti per ritenere che una parte non piccola della magistratura sia oggigiorno progressista a livello di politica generale ma fortemente conservatrice sul piano dell’interpretazione quotidiana del diritto.

In questa situazione è da chiedersi cosa possano fare gli operatori del diritto per ridurre le incertezze derivanti dalle regole relative alla competenza delle sezioni IP. Qui un primo suggerimento è venuto da un giudice ed ha riguardato le prudenze che possano essere adottate direttamente dall’organizzazione giudiziale. E sotto questo profilo Scotti, Le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale (DL 27.6.2003 n. 168) osservazioni relative ad alcune questioni processuali, in Giur. mer. 2003, 2630, ha segnalato che “in parte il pregiudizio in termini di incertezza nella ricostruzione della competenza giurisdizionale potrà essere ovviato dal saggio intervento dei capi degli uffici giudiziari all’atto della predisposizione delle tabelle organizzative, con l’attribuzione ai magistrati delle sezioni IP anche delle materie affini, riconducibili al diritto industriale, ma non ricomprese nell’elencazione di cui all’art. 3 dlgs 168” del 2003. Per il resto è da chiedersi come sia possibile radicare avanti ad una sezione IP un giudizio relativo a materie che non le appartengano: beninteso quando gli interessati vogliano farlo e non preferiscano invece per le più varie ragioni rivolgersi ad altri giudici programmaticamente non specializzati. Qui rinvio in larga misura alle considerazioni di Giussani. E reciprocamente mi limito a ricordare le linee che prima dei suoi studi erano state suggerite per raggiungere l’obiettivo ora detto.

Una I linea consiste nel radicare comunque la causa avanti alla sezione IP, nella speranza che le altre parti pubbliche e private del giudizio non sollevino tempestivamente un’eccezione di incompetenza: salvo prendere atto dell’eccezione, aderire ad essa e riassumere la causa avanti al giudice competente.

Una II linea consiste nel radicare avanti alla sezione IP una causa che in parte rientri nella sua competenza ed in altra parte le sia connessa e possa dunque esserne attratta.

Una III linea consiste nel formulare le domande in modo da cercare di rientrare comunque nella competenza delle sezioni IP: secondo un suggerimento di Casaburi, L’evoluzione delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, in Riv.dir.ind. 2003, II, 263; pur ricordando che Trib. Bologna, sez. PI, GD Pilati, ordinanza 4.2.2004, cit., segnala che la prospettazione della domanda potrebbe non essere sufficiente a radicare la competenza quando sia palesemente infondata e strumentale ad invocare una competenza non prevista dal legislatore.

Una IV linea consiste nel cumulare in un medesimo giudizio controversie appartenenti e rispettivamente estranee alla competenza della sezione IP; nell’evitare di proporre per queste ultime domande di cognizione della controversia in via principale; e nel chiedere per esse soltanto accertamenti incidentali (così Testa, 171).

8. Il progetto di codice della proprietà industriale e la competenza per materia delle sezioni IP

8. Sin qui la disciplina attuale della competenza per materia delle sezioni IP. A questo punto resta da ricordare l’incidenza che l’emanazione del codice della proprietà industriale potrebbe avere su questa competenza.

A. Qui è noto che l’art. 15 della legge 273/2002 ha attribuito una “delega al governo per il riassetto delle disposizioni in materia di proprietà industriale”. Il Ministero delle attività produttive ha nominato una commissione ministeriale, che ha preparato alcune bozze di codice della proprietà industriale, che sono state sottoposte ampiamente ad un pubblico dibattito. Alcuni materiali relativi ai lavori preparatori del codice sono pubblicati sulla pagina http://www.ubertazzi.it/it/codiceip/indice.html, ed i lavori preparatori del codice sono stati discussi ampiamente (tra l’altro) al convegno Aippi del 5.2.2004 su Il codice della proprietà industriale. Dopo di allora la bozza di codice preparata dalla commissione ministeriale è stato sottoposto al concerto dei ministri previsto dall’art. 15.2 della legge 273/2002, ciò che ha condotto ad una nuova bozza del maggio 2004, che ha modificato in alcuni punti quella ultima della commissione ministeriale. Medio tempore la delega prevista dalla legge 273/2002 è scaduta il 29.6.2004. Forse sarà rinnovata e forse anche ampliata. Ed in questa situazione può comunque essere interessante esaminare più da vicino le regole previste dal (progetto di) codice in materia di competenza per materia delle sezioni IP.

B. Il progetto di codice, in particolare, dedica alla competenza per materia le seguenti regole:

“120.1.- Le azioni in materia di proprietà industriale i cui titoli sono concessi o in corso di concessione si propongono avanti l'Autorità giudiziaria dello Stato, qualunque sia la cittadinanza, il domicilio e la residenza delle parti.

120.4.- La competenza in materia di diritti di proprietà industriale appartiene ai Tribunali espressamente indicati a tale scopo dal d.l. 27 giugno 2003, n. 168.

120.5.- Per "Tribunali dei Marchi e dei Disegni e Modelli Comunitari" ai sensi dell'art. 91 del regolamento n. 40/94/CE e dell'art. 80 del regolamento n. 2002/6/CE si intendono quelli di cui al comma 4.

134.1.- Nei procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di sleale concorrenza con esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono neppure indirettamente con l'esercizio dei diritti di proprietà industriale nonché in materia di illeciti ai sensi della legge 10 ottobre1990 n. 287 e degli artt. 81 e 82 del Trattato UE afferenti all'esercizio di diritti di proprietà industriale, si applicano le norme dei Capi I e IV del Titolo II e quelle del Titolo III del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 e, per quanto non disciplinato dalle norme suddette, si applicano le disposizioni del Codice di procedura civile in quanto compatibili, salva in ogni caso l'applicabilità dell'art. 121, n. 5 di questo Codice.

134.3.- Tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1, quivi comprese quelle disciplinate dagli articoli 64 e 65 e dagli articoli 98 e 99 sono devolute alla cognizione delle sezioni specializzate previste dall'articolo 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, come integrato dall'articolo 120.

64.4. Ferma la competenza del giudice ordinario relativa all’accertamento della sussistenza del diritto all’equo premio, al canone o al prezzo, se non si raggiunga l’accordo circa l’ammontare degli stessi, anche se l’inventore è un dipendente di amministrazione statale, alla determinazione dell’ammontare provvede un collegio di arbitratori, composto di tre membri, nominati uno da ciascuna delle parti ed il terzo nominato dai primi due, o, in caso di disaccordo, dal Presidente del Tribunale del luogo dove il prestatore d’opera esercita abitualmente le sue mansioni. Si applicano in quanto compatibili le norme degli articoli 806 ss. c.p.c.” (corsivi miei).

E qui in particolare si noterà che l’ultima bozza dell’art. 120.4 preparata dalla commissione ministeriale prevedeva che “la competenza territoriale in materia di diritti di proprietà industriale appartiene ai Tribunali espressamente indicati a tale scopo dal d.l. 27 giugno 2003, n. 168”. La bozza preparata dal “concerto ministeriale” ha soppresso la parola “territoriale”. E questa modifica può essere forse interpretata come indicativa di un passaggio dell’art. 120.4 da regola di ripartizione delle competenze territoriali tra le sezioni IP secondo i rispettivi circondari definiti dall’art. 4 del dlgs 168/2003 a regola che determina invece la competenza per materia, e la definisce per relationem alla “materia di diritti di proprietà industriale”, e così per relationem (quantomeno) alla nozione di proprietà industriale indicata dall’art. 1 del codice “ai fini del presente codice”.

C. Le regole di competenza per materia del codice hanno tra l’altro le seguenti caratteristiche.

Già si è visto che le regole di competenza per materia delle sezioni IP introdotte dal dlgs 168/2003 appaiono a prima vista formulate come norme puntuali. Le regole di competenza del codice tendono invece a modellarsi secondo la struttura tipica delle clausole generali. In questo senso attribuiscono in particolare competenza in materia di “proprietà industriale”. E sotto questo profilo rinviano espressamente a tutta l’area della proprietà industriale definita dall’art. 1 “ai fini del presente codice”.

Nel medesimo senso il codice sottolinea il carattere “eccezionale” della regola che sembra escludere la competenza delle sezioni IP in materia di “concorrenza sleale non interferente”. In questo senso si noterà infatti che le regole espresse dell’art. 3 dlgs 168/2003 prevedevano la competenza delle sezioni IP per alcune materie indicate in modo puntuale e per le “fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale ed intellettuale”. Al contrario le regole del codice attribuiscono alle sezioni IP una competenza estesa a tutta la “materia di proprietà industriale” ex art. 1 ed anche alla “sleale concorrenza con esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono neppure indirettamente con l'esercizio dei diritti di proprietà industriale”. E sotto questo profilo l’impostazione del codice sembra accogliere la tesi di Casaburi secondo cui “le sezioni specializzate sono divenute almeno tendenzialmente ‘il’ giudice di ‘tutto’ il diritto industriale (rectius: delle materie a questo tradizionalmente ricondotte)” (così Casaburi, Le istituzioni delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, in Riv.dir.ind. 2003, I, 259).

In ogni caso il codice estende il numero di istituti della proprietà intellettuale che direttamente o indirettamente (attraverso il rinvio alla nozione di proprietà industriale ex art. 1 c.p.i.) sono attribuiti espressamente alla competenza delle sezioni IP. Quest’estensione riguarda in particolare (quantomeno) le nuove varietà vegetali (art.1); le topografie (art.1); gli “altri segni distintivi” diversi dai marchi (art. 1) e così in particolare anche i domain name disciplinati dagli artt. 2.3, 2.4, 12.c), 22.1, 22.2, 118.6 e 133 c.p.i.; le indicazioni geografiche e le denominazioni d’origine (art. 1); le informazioni aziendali riservate (art. 1); il design comunitario (art. 120.5); le invenzioni dei dipendenti (art. 134.3); l’antitrust comunitario afferente alla concorrenza sleale (art. 134.1).

D’altro canto la norma dell’art. 64 relativa alla designazione del terzo arbitratore introduce anche una regola relativa alla competenza per materia. Già si è visto che questa regola attribuisce in particolare competenza al “presidente del tribunale del luogo dove il prestatore d’opera esercita abitualmente le sue mansioni”. Ma la riconduzione (anche) della materia delle invenzioni dei dipendenti alla competenza delle sezioni IP avrebbe invece dovuto suggerire per coerenza di affidare la designazione del terzo arbitro al presidente della sezione IP nel cui circondario rientra il “luogo ove il prestatore d’opera esercita abitualmente le sue mansioni” (specialmente se si ritiene con Barbuto, 57ss., che gli arbitratori ex art. 64 sono in realtà arbitri rituali) .

D. E’ da chiedersi se il codice modifichi l’area della competenza per materia attribuita alle sezioni IP dal dlgs 168/2003.

Qui mi fermo anzitutto sulle materie diverse dal diritto d’autore e dall’“antitrust afferente alla concorrenza sleale”: ed in particolare sulle materie che non erano espressamente attribuite alle sezioni IP dal dlgs 168/2003 e sono invece assegnate loro espressamente dal codice. Ed in relazione alle materie qui considerate a me pare ragionevole concludere che il dlgs 168/2003 attribuisce alle sezioni IP (quantomeno in via di interpretazione estensiva o analogica) tutte le materie che rientrano nella proprietà intellettuale; per corollario il dlgs 168/2003 attribuisce già alle sezioni IP la competenza in relazione a tutte le materie che a differenza del dlgs 168/2003 il codice assegna espressamente alle sezioni IP; correlativamente il codice si limita ad esplicitare una competenza già ricavabile dal dlgs 168/2003; anche se naturalmente le formulazioni nuove del codice faciliteranno la ricostruzione della competenza per materia delle sezioni IP nel senso da me proposto già sotto il vigore del dlgs 168/2003.

In secondo luogo una relazione di Roberto Valenti al convegno del novembre 2003 dell’American chamber ha osservato che “tra le materie” indicate “nell’art. 142 del codice di proprietà industriale non è compreso il diritto d’autore”. L’osservazione vale naturalmente ancor oggi per tutte le norme del progetto di codice relative alla competenza per materia delle sezioni IP. Ci si può chiedere allora se il codice abroga la regola del dlgs 168/2003 che attribuisce alle sezioni IP una competenza estesa ai diritti d’autore e connessi. Qui mi pare subito agevole una risposta negativa. Anzitutto il codice non prevede un’abrogazione espressa della regola dell’art. 3 dlgs 168/2003 relativa al diritto d’autore. Inoltre la formulazione letterale di tutte le regole del codice relative alla competenza per materia non dice mai che le sezioni IP hanno competenza soltanto per le materie del codice, e si limita piuttosto a disporre che le materie del codice rientrano nella competenza delle sezioni IP. E resta da ricordare che tutti i materiali relativi ai lavori preparatori del codice successivi alla legge delega testimoniano chiarissimamente che questi lavori hanno scelto di non occuparsi del diritto d’autore (amplius Ubertazzi, 10ss.).

In terzo luogo ci si può chiedere se le regole di competenza per materia del codice diverse da quelle relative all’antitrust afferente la concorrenza sleale siano rimaste nei limiti della delega parlamentare. E qui a me pare che la mia lettura secondo cui la competenza per materia delle sezioni IP si estende già ex dlgs 168/2003 a tutta la proprietà intellettuale ha come corollario che tutte le regole qui considerate del codice non eccedono i limiti della delega: senza dire che le questioni relative ad eventuali eccessi di delega hanno a ben vedere un rilievo minore, per le ragioni che ho ricordato in Ubertazzi, 13ss..

In quarto luogo ci si può interrogare sull’opportunità delle regole del codice che attribuiscono espressamente alle sezioni IP una competenza in materia di antitrust. Qui un’opinione largamente diffusa (e su cui v. per tutti Tavassi, 158ss.) suggerisce di estendere la competenza delle sezioni IP a tutto il diritto antitrust comunitario e nazionale. Analogamente mi paiono convincenti le opinioni secondo cui è quantomeno inopportuno ripartire tra tribunali e rispettivamente corti di appello la competenza a conoscere in primo grado delle controversie in materia di antitrust europeo e rispettivamente nazionale: come avevo segnalato già nel primo procedimento cautelare per l’applicazione del diritto nazionale antitrust (e v. sul punto il mio I diritti d’autore e connessi. Scritti, II edizione, Giuffrè, Milano, 2004, 292-295). Ci si può tuttavia chiedere e forse è ragionevole dubitare in qualche misura che la disciplina della competenza in materia antitrust rientri nella delega ex lege 273/2002.

9. Una proposta de iure condendo

9. La delega al governo dei poteri per l’emanazione del codice della proprietà industriale è ormai scaduta. Per parte mia insisto a ritenere che il progetto del codice abbia complessivamente molti meriti. Mi augurerei per questa ragione che i suoi lavori preparatori continuino. Potrebbero naturalmente continuare soltanto sulla base di una nuova delega di poteri legislativi. L’occasione potrebbe allora essere utilizzata per cercare di attribuire al governo una delega più estesa di quella prevista dalla legge 273/2002. E qui per quanto concerne in particolare il tema della competenza per materia delle sezioni IP sarebbe buona cosa se il legislatore parlamentare consentisse al governo di estendere questa competenza a tutta la proprietà intellettuale ed a tutto il diritto antitrust.

 


* Questo scritto riprende, amplia in larga misura ed ha conservato lo stile discorsivo di una relazione tenuta il 26.6.2004 al convegno su L’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale: profili sostanziali e processuali, organizzato dall’Università degli studi di Palermo, e sarà poi ripubblicato con alcune modifiche negli atti del convegno.
Lo scritto cita tra l’altro alcuni scritti pubblicati in Codice della proprietà industriale. Atti del convegno Aippi 5.2.2004, Quaderno Aida 11, Giuffrè, Milano, 2004: e gli scritti ora detti saranno qui di seguito citati con la sola indicazione del nome dell’autore e della pagina del volume.

+ Attorney at Law in Milan since 1972, practicing in Studio Ubertazzi. Expert in intellectual property, unfair competition, advertising, antitrust, commercial law, company law; focus on IP.

 


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